 
KENNY
ROBERTS, tre volte iridato della classe 500 e numero uno della Yamaha,
è il grande sconfitto del mondiale '83, non perché ha
perso, ma per come ha perso una sfida che avrebbe potuto vederlo vincitore.
A sei vittorie, tre secondi posti ed un ritiro, alla pari di Spencer,
aggiunge due quarti posti contro un terzo ed un quarto di Spencer
che per due lunghezze si è aggiudicato il titolo.
Con 142 punti al suo attivo Roberts avrebbe stravinto sia nella stagione
’82 (Uncini si fermò a quota 103) che nel 1981 (Lucchinelli
arrivò a 105). Anche il suo vantaggio su Mamola, al terzo posto
staccato di 53 punti, parla chiaro sull'andamento del campionato.
Ma si è trattato di un anno speciale che ha avuto in Roberts
e Spencer i soli piloti in grado di lottare per la vittoria finale.
QUELLO
DI KENNY è stato un mondiale tutto all'inseguimento, non tanto
per i tre punti perduti in Sud Africa, quanto per il quarto posto in
Francia, dettato dalla rottura di una marmitta quando era al comando,
che ha consentito non soltanto a Spencer di superarlo, ma anche a Lucchinelli
e Haslam. Anziché rimettere la situazione in parità dopo
Le Mans si è trovato staccato di dieci punti. Nessun problema.
A Monza, Gran Premio delle Nazioni, dopo 20 giri di corsa Roberts è
saldamente primo. Ancora quattro tornate e potrà assaporare la
prima vittoria di stagione. Ma l'imprevisto lo attende alla Parabolica:
ha un attimo di indecisione nel passag¬gio di un doppiato, vorrebbe
superarlo all'interno, ma si accorge di essere arrivato troppo lungo
alla staccata. All'ultimo momento allarga la traiettoria, l'asfalto
a bordo pista è sporco e non se la sente di inclinare la moto,
raddrizza puntando sulla sabbia e tiene in equilibrio la sua Yamaha
fino a quando questa non si impunta scalzandolo di sella.
Ma
Kenny è un osso duro, tiene ben saldo il manubrio nelle mani
e riesce addirittura a non far spegnere il motore. Quando riparte è
quarto, lo hanno superato Spencer, Mamola e Haslam. Per lui, però,
i guai non sono terminati; all'ultimo giro finisce la benzina e deve
dire addio anche ai dieci punti del terzo posto, dal momento che anche
Haslam si è fermato lungo il percorso per la rottura dell'albero
motore. Dopo tre gare il suo bottino è di 20 punti, piuttosto
misero in confronto a quello di Spencer che vanta tre vittorie in tre
gare. Kenny, però, non si dà per vinto. Ed è a
questo punto che dimostra di essere un grande professionista prima ancora
che un grande campione. Si impegna in quella che sembrerebbe una rimonta
impossibile e riesce (approfittando anche delle sventure di Spencer
che rompe una marmitta in Germania e il motore in Austria) a ridurre
lo svantaggio fino a portarsi a due punti da Spencer... all'ultima gara.
La Yamaha gli ha detto grazie lo stesso, organizzando la sera stessa
una festa in suo onore durante la quale Kenny ha ritrovato il sorriso
perduto con la «vittoria-sconfitta» nel Gran Premio di San
Marino.
MANCATO
il «poker» (per la terza volta consecuti¬va) e annunciato
da tempo il ritiro, Roberts si è congedato dall'Europa con un
velo di tristezza, con l'amarezza di non essere riuscito in un'impresa
che non era affatto im¬possibile, ed una non troppo sopita voglia
di rivincita tanto da rimette¬re ancora una volta in discussione
i propositi di abbandono. Sei anni di vita europea lo hanno reso più
malleabile, scal¬fendone la dura scorza dietro la quale si riparava
al suo arrivo nel '78, chiudendosi a riccio in se stesso tanto da vedersi
affibbiare l'appellativo di «marziano» per il suo carattere
scontroso, per la sua incomunicabilità.

Eppure
il Roberts di oggi ha gli stessi occhi di ghiaccio di quello che venne
in Europa per vincere addirittura tre categorie: 250, 500 e 750. Un'impresa
difficile anche per un pilota che arrivava dagli Stati Uniti con in
tasca la «piastra» di Numero Uno. Vinse la classe più
importante, la 500, ma fu costretto ad abbandonare le altre. Alla stanchezza
di scendere da una moto e salire sull'altra si aggiungeva la difficoltà
di star dietro a tre moto per volta. A spingerlo a correre in Europa
era stata la Yamaha, nell'impossibilità di mettergli a disposizione
una moto competitiva per le gare di dirt track. Erano passati quattro
anni dalla sua prima apparizione in Gran Bretagna dove disputò
il Transatlantic Trophy, la classica sfida anglo-americana.

AL SUCCESSO IRIDATO DEL '78 ai danni di Barry Sheene seguì nel
'79 quello su Virginio Ferrari che gli cedette soltanto all'ultima gara
a Le Mans dove l'allora pilota del team Gallina diede tutto se stesso
nel tentativo di ribaltare in suo favore le sorti del mondiale, cadendo
alla curva del «Garage Bleu» infortunandosi gravemente.
Fu quel¬lo l'anno della ribellione dei piloti del circus e delle
«World Series» di cui Roberts fu promotore perché,
come campione del mondo, si sentiva in dovere... e nel diritto di aiutare
i piloti privati. II progetto fallì e a Kenny (così come
agli altri) non rimase che ripresentarsi al via del mondiale '80 che
vinse davanti a Mamola e Lucchinelli. Era il terzo successo iridato
consecutivo e l'ultimo anno in cui Roberts vestiva la divisa «canarino»
(giallo¬nero della Yamaha USA). Con i colori ufficiali Yamaha ma
anche con quelli della Marlboro, Kenny non avrebbe più conquistato
il successo finale, battuto prima da Lucchinelli, poi da Uncini e infine
da Spencer.
Negli
ultimi anni di attività, Kenny ha però sempre mantenuto
un ruolo di favorito, ed è stato considerato dagli avversari
l'uomo da battere l'avversario più duro, il pilota con cui confrontarsi.
L'ammazza campionato malato di incomunicabilità del 1978 ha conquistato
i suoi avversari. Quegli stessi piloti che lo avevano guardato con diffidenza
(ma anche con reverenziale timore) ne sono divenuti amici, hanno oltrepassato
la sua invalicabile scorza, formatasi forse in una infanzia non tutta
rose e fiori.
Kenny, nato a Modesto, in California, da una famiglia povera cominciò
presto a guadagnarsi da vivere, lavorando già 12 anni come cow-boy,¬domando
e allevando cavalli. L'istruzione nelle campagne non era considerata
troppo importante, ciò nonostante frequentò fino alla
scuola secondaria. Ad avvicinar¬lo alle due ruote fu la moglie del
contadino per cui lavorava. Aveva comperato un mini motorino al figlio
e poiché questi ¬non riusciva ad usarlo ¬chiese a Kenny
di provarlo lui, che era sempre il primo ad offrirsi per domare un cavallo
difficile. Ma il «cavallo d'acciaio» era un osso duro. Kenny
provò la moto sulla veranda davanti a casa e cadde proprio ai
piedi della madre dopo avere centrato la porta d'ingresso. Nello scontro
si tagliò un ginocchio così gravemente che rimase svenuto.
Fu forse quel primo, duro approccio, a far scattare in Kenny quella
molla che gli ha consentito di domare in seguito ben più dure
cavalcature.
Fino alla primavera del 1970, il pilota di Modesto, California, ha partecipato
solo a gare di Flat track e l’asfalto di una pista non sa nemmeno che
cosa sia. Prende parte a una gara a Daytona ed è un mezzo disastro
se non fosse per i risvolti comici della vicenda.
Dopo essersi qualificato nelle ultime posizioni, Kenny si schiera in
prima fila all’allineamento per la gara a causa di un equivoco. É
perplesso, ma nessuno gli dice nulla. Così, quando si abbassa
la bandiera, con uno scatto rabbioso guadagna la prima posizione. Dopo
la prima curva, però, si accorge di due cose: ha bruciato la
frizione e quello era il giro di ricognizione. Quindi, con la frizione
da buttare, la sua gara finisce ancora prima di cominciare...
Un’altra volta – in piena bagarre con un gruppo di piloti - non si accorge
che la gara è terminata. A nulla valgono le segnalazioni dei
commissari che si piazzano sul rettilineo del traguardo sbracciandosi
a più non posso. Per fermarli mandano in pista una grossa berlina.
Solo allora Roberts e gli altri capiscono che la gara è finita,
ma non la prendono bene: coi commissari volano parole grosse, fino ad
arrivare alle mani.
Nonostante
tutto, a fine stagione, Roberts bussa alla porta della Yamaha USA e
riesce a strappare un contratto per il 1971. Conquisterà il titolo
nazionale Junior vincendo nove gare e guadagnandosi la promozione fra
gli Expert, cioè fra i professionisti. Il 29 gennaio 1972 vince
la sua prima prova del Grand National all’Astrodrome di Houston. A vent’anni
è già, quello che si dice, un pilota affermato e con ottime
prospettive per il futuro.
Nel 1975 Kenny Roberts ha
guidato una moto mostruosa. Una TZ 750 modificata da Doug Shwerma, specialista
in telai da Flat-track (disciplina che si corre negli ippodromi in terra
battuta con almeno 12 piloti indemoniati al via). Per vincere una gara
del genere occorrono tre cose: nervi saldi, manetta spalancata e una
moto leggera ma con tanti CV da scatenare sui rettilinei.
Roberts, per vincere tutte e quattro le prove (quarto di miglio, mezzo
miglio, TT e miglio), si fa assemblare da Shwerma una Yamaha con telaio
della XS 650 modificato per ospitare il 4 cilindri della TZ 750. E’
un aggeggio da 144 kg per 130 CV: cioè quanto una 125 stradale
di quegli anni ma con 10 volte il numero dei CV. Una moto quasi inguidabile
per la potenza espressa.
La Kawasaki, provocata, risponde preparando l’H2R 750. La corsa alle
superpotenze era iniziata…. Però l’anno successivo, nel 1976,
ci penserà l’AMA (l’American Motorcycles Association) a evitare
che mostri del genere scendano in pista, vietando qualsiasi motore con
più di 2 cilindri.
DEL MOTOCICLISMO KENNY apprezza soprattutto la competizione, la sfida
con gli altri piloti in gara. La velocità in se stessa non lo
emoziona, viaggiare su due ruote a 300 chilometri all'ora non gli dà
alcuna soddisfazione. E stata la passione per il confronto a tenerlo
lontano della sua California, lontano dai tre figli Kenny Lee jr. Kristen
e Kurtiss, a fargli sopportare l'abbandono della moglie. Varcata la
soglia dei trent'anni il «marziano» ha sentito. però,
la nostalgia del suo paese; la vita vagabonda del pilota ha cominciato
a stancarlo a divenirgli pesante, ma ha continuato un po' per non deludere
la Yamaha alla quale è molto legato, un po' perché quello
del pilota è il suo mestiere.
Ma
il mondo delle corse in continuo movimento lo ha stancato. Quel magico
mondo del quale ha varcato le soglie nel 1968 non suscita più
in lui nessuna emozione. In una intervista rilasciata ad inizio ’83
egli disse: «So che mi ritirerò tra breve tempo. Il tempo
di correre, nel senso di spostarsi velocemente da un continente all'altro
è quasi finito, anche se la Yamaha mi ha chiesto di restare un
anno ancora. Ma il titolo mondiale, perso o con¬quistato non c'entra
niente. Non ho intenzio¬ne di continuare questa vita vagabonda che
mi tiene lontano dalla famiglia. Per me non ci sarà un futuro
come team manager. Sono stato e sto tuttora troppo lontano dai miei
figli. La mia famiglia si è sfasciata, mia moglie se n'è
andata perché le piaceva stare con le amiche ed andare a sciare
ogni fine settimana, tutte attività che la mia professione non
permetteva».
Uno
sfogo amaro, immagine di un Kenny Roberts provato dalla vita nomade
prima ancora che dalle tante battaglie. Eppure la sua stagione '83 è
stata meravigliosa. Una volta in sella la stanchezza ha lasciato posto
alla concentrazione, alla voglia di vincere: dopo quindici anni di corse,
tre titoli mondiali vinti e tre persi.
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